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All’inizio degli anni sessanta il presidente dell’Egitto diede il via ai lavori per la costruzione della grande diga di Assuan, determinando la nascita di uno dei bacini lacustri artificiali più grandi al mondo. Oggi le colline sono diventate isole e le scarpate rocciose si tuffano nelle acque blu, circondate dalle grandi dune di soffice sabbia. I grandi pesci fluviali popolano le acque, mentre sulle sue sponde assolate aspettano sornioni i coccodrilli. Quando la luce del tramonto tinge di rosa le dune del deserto, le onde emanano bagliori d’argento.

Durante la costruzione della diga, una coalizione di Paesi internazionali, guidata dall’UNESCO e dall’Egitto, ha salvato decine di monumenti destinati, altrimenti, ad essere sommersi dall’innalzamento delle acque. Gli antichi templi sono stati tagliati, smontati e ricostruiti più in alto, da Kalabsha a Wadi es-Sebu. L’intero santuario dedicato a Iside venne spostato dall’isola di File ad una nuova isola, ed è oggi uno dei luoghi più suggestivi dell’intero Egitto. Un viaggio leggendario, solcando acque profonde e il grande deserto, alla scoperta dei templi egizi che, da oltre 3000 anni, si godono un panorama sublime.

Assuan
Fin dall’epoca dei faraoni, Assuan è sempre stata la città più importante della bassa Nubia. Era un centro di passaggio obbligato per le merci che, dal centro dell’Africa, scendevano lungo il corso del Nilo. Proprio al centro del grande fiume si trova la parte più antica della città, l’Isola Elefantina, con le sue rovine e i suoi palmeti, circondata dai massi della prima cateratta. Le bianche feluche sfrecciano leggere sulle onde fra la città moderna e le isolette sparse. Tutt’intorno a questo mondo acquatico, si estende il deserto del Sahara. Da est a ovest questa enorme landa assolata e silenziosa abbraccia la città: aride colline, dune sabbiose e montagne affilate seducono lo sguardo di ogni viaggiatore. Tra le gemme, il Tempio di Philae: tra i più belli e meglio conservati dell’Egitto, è dedicato a Iside, dea femminile dell’amore, della magia e della maternità.

Abu Simbel
Nel cuore della Nubia, in pieno deserto, a pochi chilometri dalla frontiera con il Sudan, quattro statue gigantesche, alte più di 20 metri, scrutano l’orizzonte con un sorriso enigmatico. Sono le statue che decorano la magnifica facciata di uno dei due celebri templi di Abu Simbel, grandioso centro religioso, che divenne poi meta dei viaggiatori che risalivano il Nilo nel XIX secolo. Il tempio maggiore di Ramses II, e quello che egli ordinò di costruire per l’amata mogie Nefertari, vennero costruiti dal faraone nel lontano XIII sec a.C., su due scogliere rocciose che dominavano il corso del Nilo e le aride pianure circostanti. Perduti per secoli, vennero prima individuati dall’esploratore svizzero Johann L. Burckhardt (1813) e poi esplorati per la prima volta nel 1817 dall’avventuriero italiano Giovanni Belzoni. Il gigante padovano fu il primo a trovarne l’ingresso celato e ad entrare nelle stanze del tempio scavate dentro la roccia, dopo quasi due millenni. L’impresa fece da richiamo per molti artisti ottocenteschi, che viaggiarono fin lì per dare forma nei propri quadri e incisioni alla romantica bellezza di quelle rovine semisepolte. I due templi sono stati smontati e spostati in un luogo sicuro durante i lavori per la creazione del lago e due nuove colline artificiali sono state create per ospitarli. Date le colossali dimensioni, la missione fu ardua: fu necessario tagliare le vestigia in blocchi del peso di molte tonnellate per ricomporle nella nuova collocazione, che ne riproduceva fedelmente il luogo d’origine. Nonostante la complessità, l’operazione fu un grande successo.

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